Emergenza Covid-19

Come due mesi di emergenza Covid-19 hanno cambiato il mondo dell’energia

Il lockdown ha comportato, come previsto, un calo della domanda elettrica e un crollo dei prezzi. Le fonti fossili per il momento sono le più colpite, ma anche le rinnovabili possono accusare delle conseguenze nel breve termine

Pubblicato il 10 Apr 2020

Circa un mese fa avevamo provato a tratteggiare le conseguenze dell’emergenza Covid-19 sul mondo dell’energia. In questo arco temporale, ovviamente, sono successe tante cose che ci aiutano a comprendere meglio in che direzione sta andando questo settore così importante per la nostra economia e società. In particolare, in questo mese, è intervenuto il quasi completo lockdown delle attività produttive valutate come non essenziali, secondo quanto stabilito dal Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM) del 22 marzo 2020. Ovviamente tra le attività produttive che non sono state sospese, l’allegato 1 indica anche la “fornitura di energia elettrica, gas, vapore ed energia elettrica” e, di conseguenza, tutte le attività funzionali ad assicurare la continuità di tale fornitura. È evidente, però, che nonostante l’essenzialità della produzione energetica, i consumi della stessa ne sono profondamente influenzati: vero è che milioni di persone sono ora confinate nelle loro case, con un maggiore ricorso all’elettricità per lo smart working e per usufruire dei servizi in streaming di intrattenimento e di e-commerce. Ma poiché buona parte delle industrie (tra cui alcune decisamente energivore come siderurgia, metallurgia e attività estrattive) e delle attività commerciali sono in questo momento chiuse, il fabbisogno energetico è fortemente diminuito rispetto all’epoca pre lock down.

L’impatto su prezzi e volumi dell’energia

Secondo le stime della Iea, l’Agenzia internazionale dell’energia, nella maggior parte delle economie che hanno adottato forti misure di confinamento in risposta al coronavirus domanda di elettricità è diminuita di circa il 15%, in gran parte a causa delle fabbriche e delle imprese che hanno interrotto le proprie operazioni. In Italia, secondo i dati messi a disposizione dal gestore della rete elettrica nazionale, Terna, nella settimana compresa tra il 28 marzo e il 3 aprile si è assistito a un calo della domanda del 21,4% rispetto allo stesso periodo del 2019, particolarmente accentuato nelle regioni industriali del Nord del Paese. Il calo ha provocato una netta riduzione del prezzo del kWh alla Borsa elettrica, di circa il 20% rispetto al livello pre emergenza: come mette in evidenza un report di Osborne Clarke, ad esempio, questa discesa dei prezzi rappresenta una forte criticità rilevante per tutti gli operatori del settore (ovvero le utility energetiche) che hanno acquistato energia a prezzi pre-emergenza e che oggi si trovano a doverla ricollocare a prezzi inferiori a quelli d’acquisto se non addirittura, nella peggiore delle ipotesi, a non riuscire a venderla tutta, a causa della forte contrazione della domanda. A questo problema si aggiunge il tema dell’incremento della morosità dei clienti finali, a causa delle difficoltà economiche che non hanno tardato a manifestarsi: le associazioni di categoria hanno rilevato, sulla base di comunicazioni dei propri associati, un incremento delle morosità compreso tra il  20% al 40%, non limitato peraltro a clienti domestici ma relativa anche ai clienti industriali.

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Cosa cambia per le fonti fossili

Il calo della domanda energetica coinvolge in Italia tutte le fonti di energia, ma indubbiamente in questo frangente le energie rinnovabili sembrano essere più competitive delle centrali alimentate da fonti fossili sui mercati dell’elettricità. Tanto che, non soltanto nel nostro Paese, la quota di elettricità coperta dalle energie rinnovabili sulla domanda complessiva è cresciuta in misura significativa. Al contrario, i produttori globali del petrolio e del gas si trovano ad affrontare una situazione senza precedenti: la domanda sta crollando a causa dell’impatto del coronavirus mentre l’offerta, già sovrabbondante, sta aumentando in modo significativo, con una conseguente riduzione dei prezzi. È chiaro, dunque, che gli investitori di tutto il mondo, che già stavano dirottando parte delle proprie risorse sulle fonti pulite, a causa della accresciuta imprevedibilità dei rendimenti degli investimenti negli idrocarburi potrebbero ora essere sempre più tentati dalle energie rinnovabili, perlomeno nel lungo termine.

I problemi nel breve termine per le rinnovabili

Per quanto riguarda il breve termine, ovvero per tutta la durata del lockdown e oltre, la situazione però non è certo rosea per gli operatori della filiera delle rinnovabili. Al momento, i cantieri per la realizzazione di nuovi impianti sono sostanzialmente fermi, mentre invece è ammessa l’attività di manutenzione. Secondo un’indagine condotta dall’associazione di categoria Italia Solare sulla filiera del fotovoltaico tra l’11 e il 13 marzo (quindi prima del lockdown completo), il 74% degli operatori ha registrato un calo degli ordini dall’inizio della crisi, con una riduzione che va dal 10 al 30% per il 40% degli intervistati, e c’è addirittura un 10,6 % che ha registrato una diminuzione tra il 70 e l’80%. Anche sull’arco temporale dei prossimi 4 mesi lo scenario non è roseo; 2 intervistati su 5 prevedono un calo di oltre il 50 percento degli ordini prima dell’estate. Il punto, come mette in evidenza il già citato report di Osborne Clarke, è che la situazione che si verrà a creare a livello europeo e mondiale nella fase post emergenziale potrebbe riflettersi sui tempi di sviluppo di nuovi progetti. In particolare, sul piano nazionale un primo effetto dell’attuale situazione potrebbe essere, ad esempio, il ritardo nell’avvio o nella conclusione di tutti i procedimenti autorizzativi, specie nel caso in cui le conferenze di servizi tra pubbliche amministrazioni (attraverso le quali passa necessariamente l’autorizzazione di tutti i progetti di medie/grandi dimensioni) non potessero svolgersi a distanza. Un’incognita è poi rappresentata dalla situazione di chiusura delle frontiere tra gli Stati colpiti dalla pandemia e dalla conseguente riduzione delle importazioni transfrontaliere, che potrebbe determinare un ritardo nell’approvvigionamento delle componenti tecnologiche necessarie per la costruzione degli impianti (come ad esempio i pannelli fotovoltaici, in buona parte d’importazione asiatica).e, di conseguenza, posticipare la loro entrata in esercizio

Il ruolo delle misure di stimolo

Più in generale, la situazione di recessione economica che sta accompagnando l’emergenza sanitaria, potrebbe scoraggiare nel breve termine imprese e utenti dall’investimento nelle fonti pulite, che presenta comunque tempi di ritorno dall’investimento di alcuni anni. A fare la differenza potranno essere i pacchetti di stimolo economico dei governi: se queste misure favoriranno esplicitamente l’adozione delle energie rinnovabili e la transizione energetica, allora il comparto potrebbe riprendersi rapidamente, contribuendo in maniera importante alla crescita del Pil e dell’occupazione. Per questo motivo, avverte Irena (agenzia internazionale delle energie rinnovabili) serviranno obiettivi a lungo termine chiari, combinati con investimenti pubblici mirati e incentivi di mercato adeguati.

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Gianluigi Torchiani

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