Sostenibilità

Il project financing e le infrastrutture come opportunità di investimento in epoca post-Covid

I privati stanno sempre più considerando le infrastrutture come una asset class con basso rischio attraverso cui diversificare il proprio portafoglio d’investimenti, beneficiando di trend, come le energie rinnovabili, l’urbanizzazione e la connettività universale

Pubblicato il 17 Lug 2020

Gabriele Zabbatino

dottore in giurisprudenza Università degli Studi Roma Tre, master in consulente legale d’impresa LUISS Business School

La ripresa economica post-Covid passerà necessariamente per massicci investimenti in infrastrutture ed energie rinnovabili.

Se adeguatamente sfruttata, la liquidità messa a disposizione dalla Banca Centrale Europea potrà rappresentare un acceleratore per il rilancio dell’assetto infrastrutturale italiano.

Nell’ambito degli strumenti di cooperazione tra Stato e privati il project financing emerge come uno dei più innovativi per fronteggiare la scarsità di risorse che colpirà il sistema economico globale e per attrarre nuovi investitori nel prossimo periodo storico.

La rilevanza strategica degli investimenti in infrastrutture per il pubblico e il privato

Il termine “infrastrutture” è utilizzato per individuare quel complesso di beni e servizi a supporto delle imprese e/o a sostegno del benessere sociale dei cittadini.

Da qui deriva la più generica distinzione tra infrastrutture “economiche” che comprendono generalmente i settori dei trasporti, dell’energia, dell’acqua e delle comunicazioni e infrastrutture “sociali” con cui, invece, si identificano ospedali, scuole, musei, carceri, impianti sportivi.
Tra le infrastrutture si differenziano, poi, quelle “a rete” e quelle “puntuali”: mentre le prime sono sistemi presenti in modo diffuso sul territorio e caratterizzate da una serie di punti interconnessi (autostrade, ferrovie, reti elettriche), le seconde hanno, invece, la caratteristica di essere utili in quanto unità singole (ospedali, scuole).

Indipendentemente dalla loro natura, comunque, i beni infrastrutturali sono un insieme di elementi organizzati (fisici e non) che costituiscono l’asse portante per lo sviluppo economico e sociale di un Paese.

Da un lato, gli investimenti in infrastrutture producono effetti a lungo termine che sono fondamentali per il benessere e la prosperità della società, contribuendo a stimolare la crescita economica globale attraverso una riduzione di costi e tempi a vantaggio della produttività ed efficienza delle singole imprese e producendo effetti positivi sul prodotto interno lordo. Dall’altro, essi hanno un impatto diretto anche nel breve termine, offrendo occupazione e nuovi posti di lavoro.

Avere un sistema infrastrutturale solido e moderno assicura, poi, un’espansione del potere e dell’influenza politica di un Paese nei rapporti internazionali.

Ciò che emerge dai trend più recenti nel mondo della finanza è che questo tipo di settore inizia ad essere molto appetibile anche per i più affermati fondi d’investimento e per gli investitori istituzionali.

Le infrastrutture come asset class

Un’indagine condotta da Deloitte in collaborazione con l’Università LUISS dimostra come i privati stiano sempre più considerando le infrastrutture come una asset class con basso rischio attraverso cui diversificare il proprio portafoglio d’investimenti. Questa diversificazione consente agli investitori di dotarsi di un patrimonio diverso da quello degli strumenti finanziari tradizionali (quali azioni e obbligazioni) e, quindi, del tutto indipendente dall’andamento dei mercati o degli indici di borsa.

Negli ultimi anni gli operatori di private equity sono stati i principali attori nell’ambito degli investimenti in infrastrutture, prima inserendo nei propri portafogli assets di questa natura, poi costituendo dei veri e propri “fondi infrastrutturali” attraverso cui indirizzare le risorse private esclusivamente verso il sistema dei servizi pubblici.

Da un’analisi svolta da Morgan Stanley risulta che i titoli infrastrutturali quotati offrono caratteristiche difensive in un contesto di incertezza globale e un premio di rendimento in uno scenario in cui scarseggiano ritorni interessanti.

Questa asset class beneficia di trend, come le energie rinnovabili, l’urbanizzazione e la connettività universale, che stimolano la crescita dei profitti e del capitale nel lungo termine ed è generalmente caratterizzata da flussi di cassa costanti che subiscono in modo limitato le fluttuazioni economiche.

Nel contesto attuale, soprattutto, le infrastrutture costituiscono un investimento che consentirebbe all’Italia di colmare la distanza – in termini di tecnologia e modernizzazione – che intercorre con i più sviluppati Paesi d’Europa e d’oltreoceano.

Ispi (Istituto degli Studi di Politica Internazionale) in collaborazione con McKinsey ha sottolineato che «investire nelle infrastrutture rappresenta un formidabile strumento anticiclico in un’epoca in cui consumi, investimenti e commercio sono frenati dal rallentamento economico».

Attualmente, poi, il settore delle costruzioni è in fibrillazione a Piazza Affari e nel Vecchio Continente, galvanizzato dai maxi-piani per le infrastrutture allo studio negli Stati Uniti e in Italia.

Il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Paola De Micheli, ha parlato di «un programma ambizioso per il rilancio dei trasporti e delle infrastrutture» proposto «con una precisa idea di Paese». È in fase di elaborazione, infatti, il piano “Italia Veloce” che prevede un investimento da 200 miliardi di euro per recuperare la distanza che separa l’Italia dai Paesi europei più sviluppati.

Le infrastrutture energetiche

Con particolare riferimento al settore dell’energia le reti infrastrutturali includono linee di trasmissione e di distribuzione a lunghe e brevi distanze, linee di raccolta per il petrolio greggio, gas naturale e sottoprodotti del gas naturale; impianti di stoccaggio; stabilimenti di raccolta e trasformazione del gas naturale; impianti di frazionamento che separano gli elementi della corrente del gas naturale nelle loro componenti e altre attività simili. Tali attività sono incentrate sul trasporto, sulla trasformazione o sullo stoccaggio di materie prime prodotte dalle società di produzione ed esplorazione a monte per la fornitura ai clienti a valle e tendono ad essere contrattualizzate o regolamentate.

A livello globale lo sviluppo di infrastrutture energetiche cresce in modo costante, assicurando la disponibilità di energia per una fascia sempre più ampia della popolazione e incentivando l’aumento demografico, l’espansione della classe media, l’accelerazione del processo di interconnessione tra i diversi Stati, la crescente urbanizzazione e la riduzione dell’inquinamento.

Sulla base dello studio “Infrastrutture energetiche per l’Italia e per il Mediterrraneo” svolto da Confindustria Energia con la partecipazioni delle sue associazioni (Anigas, Assogasliquidi, Assomineraria, Elettricità Futura, Igas Imprese Gas e Unione Petrolifera), delle società Snam e Terna e dell’Osservatorio Mediterraneo dell’Energia (OME) con la consulenza prestata da PwC sono stati analizzati l’andamento e i programmi di investimento in Italia tra il 2018 e il 2030 nelle infrastrutture energetiche. Nonostante alcuni necessari aggiustamenti dei risultati previsti dal report dovuti agli imprevedibili effetti causati dalla pandemia, nel prossimo decennio si attendono, dunque, un incremento del Pil, un aumento dell’occupazione, una consistente riduzione delle emissioni di CO2 e una serie di effetti collegati ai progetti di economia circolare.

Nell’attuale contesto sarà senz’altro essenziale far fluire la liquidità finanziaria verso il settore delle energie rinnovabili e verso la sostenibilità, semplificare i procedimenti autorizzativi e favorire la cooperazione tra le istituzioni nazionali e locali in coerenza con le linee dettate dal Piano nazionale Energia e Clima (Pniec) e con gli obiettivi del Green Deal europeo. Gli effetti positivi di tali politiche si rifletteranno sul benessere reciproco dell’Italia e degli altri Stati membri a favore di una più solida coesione per fronteggiare il periodo di difficoltà che metterà alla prova tutti i sistemi economici.

Il partenariato pubblico-privato

Sebbene si preveda un aumento delle somme investite dallo Stato in infrastrutture, a causa delle sempre più stringenti esigenze di bilancio per ridurre il debito pubblico e contenere le spese, i governi nazionali hanno iniziato a rivolgersi in maniera massiccia alla finanza privata per trovare delle risposte immediate alla propria scarsa disponibilità economica e competenza tecnica al fine di assicurare costruzione, manutenzione, gestione, sviluppo e rinnovo delle reti infrastrutturali presenti nel proprio territorio.

Come già sottolineato, tale tendenza rappresenta anche uno stimolo per la crescita a lungo termine del segmento legato alle infrastrutture quotate in Borsa che rappresentano sempre più una valida e redditizia alternativa d’investimento.

È da notare, poi, la tendenza di molte agenzie di sviluppo multilaterali che sempre più frequentemente insistono affinchè gli investimenti privati abbiano un ruolo crescente nella soluzione dei problemi economici dei Paesi meno sviluppati, anche tramite l’intervento diretto nella fornitura di infrastrutture di base come quelle idrica, elettrica e dei trasporti.

Negli ultimi decenni si è assistito a un crescente trasferimento di beni infrastrutturali dal settore pubblico a quello privato e il legislatore ha dato vita a provvedimenti volti a definire percorsi sempre più agevoli dal punto di vista procedurale, creando stimoli e incentivi di vario tipo per gli operatori privati.

Dapprima, la fase della privatizzazione di settori storicamente monopolizzati dallo Stato (produzione e somministrazione d’energia, trasporti pubblici, gestione dei rifiuti) ha ampliato le opportunità d’intervento degli investitori privati.

Successivamente, l’aumento dei capitali investiti e l’esigenza di tutelare i soggetti coinvolti dai rischi connessi al loro intervento ha consentito lo sviluppo operativo e normativo di forme di cooperazione tra pubblico e privato espressamente disciplinate a livello internazionale e nazionale.

Il partenariato pubblico-privato (o public-private partnership, PPP) comprende tutti quei fenomeni di cooperazione tra pubblico e privato ed i contratti attraverso i quali essi trovano la loro concreta espressione.

La ratio di tale istituto si fonda sull’esigenza di far fronte alle crescenti difficoltà della pubblica amministrazione nel reperire risorse necessarie per la fornitura di un’opera o di un servizio a favore della collettività e di assicurare un’azione amministrativa efficiente ed efficace, fortemente improntata a criteri di economicità. Ciò che, inoltre, contraddistingue il PPP è determinato dal fatto che l’intervento dei partner privati si traduce non solo in un contributo economico-finanziario, ma soprattutto in un arricchimento del know-how pubblico attraverso l’expertise messa a disposizione da parte di operatori esperti del settore di riferimento sotto ogni profilo tecnico.

L’assemblea di Strasburgo ha qualificato il PPP come un «possibile strumento di organizzazione e gestione delle funzioni pubbliche», riconoscendo in capo alle pubbliche amministrazioni nazionali di esercitare le proprie funzioni avvalendosi della collaborazione di soggetti privati o costituendo imprese da loro interamente controllate.

Oggi, il D. Lgs. n. 50/2016, modificato dal D. Lgs. n. 56/2017, definisce all’art. 3, lett. eee) il contratto di partenariato pubblico privato come «il contratto a titolo oneroso stipulato per iscritto con il quale una o più stazioni appaltanti conferiscono a uno o più operatori economici, per un periodo determinato in funzione della durata dell’ammortamento, dell’investimento o delle modalità di finanziamento fissate, un complesso di attività consistenti nella realizzazione, trasformazione, manutenzione e gestione operativa di un’opera in cambio della sua disponibilità, o del suo sfruttamento economico, o della fornitura di un servizio connesso all’utilizzo dell’opera stessa, con assunzione di rischio, secondo modalità individuate nel contratto, da parte dell’operatore».

Si tratta di una fattispecie diffusa in tutti i principali Stati europei per la quale la disciplina comune richiama l’obbligo per le amministrazioni nazionali di rispettare i principi di trasparenza, parità di trattamento e proporzionalità mediante procedure aperte, flessibili e non discriminatorie.

Ai sensi della definizione n. 3 del Libro verde della Commissione europea del 30 aprile 2004 il partenariato pubblico-privato è dotato di determinati elementi:

a) durata relativamente lunga della collaborazione, che implica una cooperazione tra il partner pubblico ed il partner privato in relazione a vari aspetti di un progetto da realizzare;

b) modalità di finanziamento del progetto, garantito da parte dal settore privato e talvolta tramite relazioni complesse tra diversi soggetti, anche se spesso a questi possono aggiungersi quote notevoli di finanziamento pubblico;

c) ruolo importante dell’operatore economico, che partecipa alle varie fasi del progetto, quali il finanziamento, la progettazione, la realizzazione, l’attuazione.

Il project financing

Al fine di colmare il gap di natura infrastrutturale che attanaglia numerosi Paesi e di far fronte al deficit della contabilità pubblica, il project financing si presenta come il modello più diffuso tra le varie forme di espressione del partenariato pubblico privato.

Il project financing (o finanza di progetto) ha origini anglosassoni e si sviluppa, a partire dagli anni ’70, come innovativa tecnica di finanziamento a lungo termine diretta a coinvolgere il capitale privato nella realizzazione di opere di pubblica utilità e a realizzare un singolo progetto la cui gestione è in grado di remunerare il capitale investito attraverso un flusso di cassa prodotto in modo costante nel tempo.

Viene definito come «un’operazione di finanziamento di una particolare unità economica, nella quale un finanziatore è soddisfatto di considerare, fin dallo stato iniziale, il flusso di cassa dell’unità economica in oggetto, come la sorgente di fondi che consentirà il rimborso del prestito e le attività dell’unità economica come garanzia collaterale del prestito».

Il legislatore italiano ne fornisce una specifica disciplina all’art. 183 del D. Lgs. n. 50/2016, c.d. “codice degli appalti”, definendo le varie fasi e procedure dell’operazione.

La ratio di tale istituto è fondata sull’indipendenza giuridico-economica dell’iniziativa imprenditoriale che si realizza attraverso la costituzione di un’apposita società veicolo e sulla capacità del progetto stesso di produrre un flusso di cassa tale da rimborsare le somme investite per la sua realizzazione.

A tal proposito si distinguono tre diverse tipologie di opere: opere calde, opere fredde, opere tiepide.

Le opere “calde” sono opere o servizi che possono essere sfruttate dagli utenti dietro pagamento di un corrispettivo che rappresenterà lo strumento attraverso cui è generato il flusso di cassa in grado di rimborsare gli investimenti erogati (si pensi al pedaggio per le autostrade o al ticket per i parcheggi). Le opere “fredde” sono opere che assolvono prevalentemente a una funzione sociale in cui il flusso di cassa generato dalle tariffe applicate agli utenti non è sufficiente a rimborsare gli investimenti. Per tale motivo il privato investitore è remunerato da un canone corrisposto periodicamente dalla pubblica amministrazione (si pensi alle carceri o alle scuole). Nel caso in cui, poi, a tale canone si aggiunga l’ulteriore previsione di una futura concessione di lavori o servizi connessa all’opera principale a favore dello stesso investitore, si potrà parlare, allora, di opere “tiepide”.

La dottrina suole considerare la finanza di progetto come una complessa operazione economico-finanziaria che si realizza tramite la stipulazione di vari contratti fra loro collegati. Si parla di c.d. “network of contracts” vista la pluralità di negozi che intercorrono tra le parti coinvolte: dai contratti di appalto con la pubblica amministrazione ai contratti di finanziamento con le banche, dai contratti di progettazione ai contratti di realizzazione e gestione dell’opera, dai contratti di fornitura, vendita e concessione ai contratti di assicurazione per coprire i rischi che possono insorgere nelle fasi preliminari e in quelle operative, e via dicendo.

Per quanto concerne la disciplina, sebbene sia parzialmente sovrapponibile a quella delle concessioni di costruzione e gestione relativamente alla fase esecutiva, il project financing ha alcune caratteristiche peculiari rispetto al tradizionale modello concessorio.

Prima di tutto, l’iniziativa del progetto può spettare, oltre che alla pubblica amministrazione, anche al soggetto privato che, a seguito di uno studio di fattibilità dell’opera e di un’analisi dei rischi ad essa connessi, assume il ruolo di promotore ed elabora un progetto preliminare, un piano economico-finanziario ed una proposta di realizzazione e gestione dell’opera. Tale soggetto può anche presentare proposte che non siano espressamente incluse negli strumenti di programmazione triennale o nell’elenco annuale predisposti dalla pubblica amministrazione.

La predisposizione del piano di sostenibilità finanziaria del progetto, cioè la capacità da parte degli utenti dei relativi servizi (in caso di opere calde) o da parte dell’amministrazione (in caso di opere calde) di retribuirne i costi di costruzione, gestione e manutenzione rappresenta un momento essenziale dell’operazione. Si richiede un’approfondita analisi dei costi attesi del progetto e dei livelli dei flussi di cassa necessari per rimborsare i prestiti e fornire un rendimento agli investitori della società di progetto.

A seguito dell’accettazione del progetto, si può procedere attraverso quattro diverse procedure di affidamento: la procedura ordinaria, la procedura a doppia gara con diritto di prelazione e due diverse procedure ad iniziativa dei privati.

La procedura ordinaria prevede la pubblicazione di un bando per la presentazione di offerte per la realizzazione dell’opera al quale possono aderire gli operatori in possesso degli specifici requisiti richiesti. Tali soggetti dovranno presentare un progetto preliminare, una bozza di convenzione regolante la fase di esecuzione del rapporto, un piano economico-finanziario asseverato e un ulteriore documento che descriva le specifiche caratteristiche del servizio e della gestione. Verrà, poi, stilata una graduatoria e nominato il soggetto che ha presentato la migliore offerta come promotore del progetto.

La procedura a doppia gara con diritto di prelazione prevede una prima fase per individuare il soggetto promotore ed una seconda fase in cui viene designato il soggetto aggiudicatario del contratto di concessione.

Le procedure ad iniziativa dei privati consentono a questi ultimi sia di sollecitare la pubblica amministrazione ad indire delle procedure per realizzare opere già previste nella programmazione triennale o nell’elenco annuale sia di presentare proposte per progetti non ancora approvati.

Il bando di gara deve prevedere la facoltà per l’aggiudicatario di costituire, dopo l’eventuale aggiudicazione, un nuovo ente economico-giuridico che rappresenterà il principale centro di imputazione degli interessi e diverrà l’unico referente a cui si rivolgerà la pubblica amministrazione nel corso dell’operazione. La c.d. società di progetto o spv (special purpose vehicle) è quell’entità indipendente le cui partecipazioni sono detenute dai vari soggetti coinvolti nell’operazione e che può subentrare nel rapporto di concessione all’aggiudicatario senza necessità di approvazione o autorizzazione.

Si parla a tal riguardo di un vero e proprio “isolamento economico-giuridico” dell’spv rispetto ai soggetti privati coinvolti che consente, da un lato, una migliore gestione e organizzazione dell’attività economica del progetto che sarà rimessa esclusivamente alla società neocostituita, dall’altro, una maggiore tutela degli investitori in quanto essa garantisce un vincolo di destinazione sui beni della società e sul flusso di reddito generato dal progetto.

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Gabriele Zabbatino
dottore in giurisprudenza Università degli Studi Roma Tre, master in consulente legale d’impresa LUISS Business School

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