EnergyUP360 Summit

Il potenziale del digitale per le comunità energetiche rinnovabili

Tutto quello che sta dietro al mondo delle comunità energetiche rinnovabili (CER) in Italia e il ruolo del digitale per massimizzare la produzione, il consumo e la condivisione di energia da fonti rinnovabili nelle vicinanze. Un estratto di una serie di talk che hanno animato la seconda edizione dell’EnergyUp 360 Summit

Pubblicato il 13 Lug 2023

Nel mondo Energy, quello delle comunità energetiche rinnovabili (CER) è uno dei più caldi del 2023 complici anche le forti aspettative degli operatori sul tema e alcuni provvedimenti normativi che hanno quasi sbloccato il quadro. Per “comunità energetiche” si intende una associazione di utenti, enti pubblici, aziende e attività commerciali che collaborano per produrre, consumare, condividere e gestire l’energia proveniente da fonti rinnovabili nelle vicinanze. Ma la piena affermazione del modello delle comunità energetiche passa dall’utilizzo di strumenti digitali che consentano il monitoraggio e la gestione dei flussi energetici, nonché l’interazione tra gli utenti. Se ne è discusso in occasione della seconda edizione dell’EnergyUp 360 Summit la scorsa settimana (qui il resoconto completo dell’evento).

Perché andare verso il tema delle comunità energetiche

Per tanto tempo l’energia è stata vissuta come centro di costo ma grazie alla capacità produttiva che arriva dalle rinnovabili, all’efficienza energetica e all’intelligenza e conoscenza che arriva dal digitale, il paradigma sta cambiando verso un centro di profitto. Da questa prospettiva, ne derivano benefici possono ripercuotersi anche sulle comunità energetiche.

Intanto c’è un concetto da chiarire, come solleva Stefano Gasparini, Amministratore Delegato, Innovatec Power  “Efficientare, al di là di quello che significa efficienza energetica, non è più procrastinabile. Io credo che molti imprenditori l’abbiano già capito. Molti altri fanno più fatica a capirlo, molto probabilmente per mancanza di conoscenza. Mi auspico che come abbiamo fatto nel passato, possiamo essere pionieri dal punto di vista delle comunità energetiche. Ma il quadro deve essere delineato nei suoi aspetti operativi e meglio declinato”.

Gasparini insiste sul fatto che il paradigma economico è cambiato completamente non solo per la guerra russo-ucraina o per l’inflazione. Questo è un nuovo periodo storico che siamo in grado di trasmettere all’economia globale e in cui si inserisce la comunità energetica che altro non vuol dire che produrre e godere dell’energia prodotta in altri spazi che non sia semplicemente “il tubo collegato in casa”. 

Il primo vantaggio che si ha deriva dalla direzione forte del Paese verso l’elettrificazione crescente del paese. Non si potrà più sfruttare la rete esistente e quindi andare verso le comunità energetiche è quasi d’obbligo, oltre che una straordinaria opportunità per avere un vantaggio grazie al sistema e la possibilità di utilizzare l’energia in eccesso. 

Inoltre, continua Gasparini, le fonti rinnovabili non solo possono ridurre le spese energetiche, ma anche creare nuovo valore economico e migliorare le performance ESG senza dimenticare i vantaggi in termini di reputazione aziendale e di collaborazione con stakeholder attenti all’ambiente.

“Chi non intraprende questa strada non è più in questo tempo – chiude Gasparini – Non si tratta di efficientare per rimanere competitivi perché se non si efficienta non si può rientrare nel paradigma che si sta definendo. E riuscire ad individuare il giusto mix di tecnologie che lo renda possibile è la strada maestra”. 

Le potenzialità delle comunità energetiche nella transizione energetica

Come spiega Alessandro Marangoni, CEO di Althesys, complessivamente in Italia abbiamo circa 100 iniziative, meno della metà già operative rispetto al quadro di altri paesi dove sono molto più sviluppate. In Germania ci sono circa 5 mila comunità attive ma sono partiti circa un decennio fa. Gli obiettivi della transazione energetica sono sfidanti e le CE possono contribuire.  

Si parla di arrivare a 30-40 mila CER nel nostro paese quindi numeri importanti, ma di effettiva produzione e consumi parliamo sempre di una porzione relativamente contenuta rispetto alla produzione e consumi elettrici complessivi.  Per arrivare a 5000 CER in Germania hanno impiegato dieci anni; quindi, arrivare a qualche decina di migliaia da qui al 2030 nel nostro paese è affascinante ma impegnativo. 

Quali attori del mercato hanno interessi concreti nello sviluppo delle CER

Anni addietro c’era una certa diffidenza da parte degli operatori del sistema energetico perché temevano di vedersi sottrarre del business e da parte dei gestori delle reti perché si preoccupavano della complessità rispetto al sistema esistente collaudato, ma oggi ci sono delle utility soprattutto le più grandi che stanno puntando a sviluppare le CER come ulteriore componente dell’offerta rispetto al consumatore e forniscono quello che è necessario a livello tecnologico e di assistenza per sviluppare le CER. Poi ci sono una serie di operatori tecnologici per la produzione e l’infrastruttura di gestione delle CER che si affacciano sul mercato per sviluppare il business. 

“Quando parliamo di CER – continua Marangoni – parliamo di un sistema che, anche se di dimensioni relativamente ridotte rispetto ai grandi impianti utility scale, è comunque complesso perché significa mettere insieme più prosumer, pensiamo ad un condominio, o ad un piccolo distretto artigianale industriale, più utilizzatori, con un impianto gestito congiuntamente che comunque rimane collegato alla rete”. Non è solo una questione di tecnologia e quindi nel caso più frequente di installare un impianto fotovoltaico ma di un sistema di intelligenza per riuscire a gestirlo, bilanciando produzione e consumi, domanda e offerta rispetto alle infrastrutture di rete.

Gli strumenti tecnologici che garantiscono il funzionamento delle CER 

Marangoni si sofferma sugli strumenti tecnologici fondamentali per le CER. Sicuramente, dice, c’è una componente di generazione elettrica che in Italia fa affidamento soprattutto sul fotovoltaico, tecnologia ben consolidata e presente sulle taglie più disparate, dal piccolo impianto retail fino a grandi impianti utility-scale. E la normativa sulle CER prevede limiti dimensionali e necessità di collegamento a cabina primaria. Quindi si pone il tema della connessione alla rete e del sistema di gestione di piattaforme ICT che permettono di governare i flussi di energia. 

In questo contesto si inserisce il tema degli accumuli. Le CER, come avviene in alcuni casi per gli impianti di rinnovabili, possono essere integrate con sistemi di accumulo. Nel medio periodo può diventare un operatore di mercato, anche nel quadro della riforma del Testo Integrato dell’Autoconsumo Diffuso (TIAD), e offrire servizi ancillari alla rete. 

“Questo rende anche l’idea della complessità di un sistema del genere. Realizzare una CER richiede determinate competenze in ambito elettrico, oltre la semplice impiantistica, presuppone un sistema di gestione e laddove si vuole diventare un attore di mercato anche competenze di energy management” osserva Marangoni.

Questo fa sì che spesso la proposta arrivi da operatori professionali del sistema elettrico. Le CER sono un sistema di democratizzazione dell’energia, ma non significa che ci si possa improvvisare operatori elettrici da un giorno all’altro.

Di normativa si parla da tempo, il quadro normativo è pronto?

Dal punto di vista della predisposizione della bozza di decreto è pronto ma non ancora operativo. E’ stato inviato nelle settimane scorse a Bruxelles per l’approvazione in sede europea. Marangoni sottolinea che laddove la normativa venisse confermata nella bozza a Bruxelles, è piuttosto adeguata rispetto alla necessità, prevede tariffe incentivanti che sono interessanti per chi deve realizzare l’impianto e ha alzato la soglia dimensionale in maniera congrua rispetto a quelle che potrebbero essere le applicazioni principali. 

“Sostanzialmente siamo abbastanza in linea – afferma Marangoni – In realtà la normativa arriva da lontano perché era stata fatta una prima normativa transitoria che prevedeva una tariffa leggermente più bassa e vincoli dimensionali più stringenti per gli operatori. Probabilmente potrebbero essere da ritoccare i limiti dimensionali rispetto agevolazioni per piccoli comuni”.

Detto questo, il giudizio generale degli operatori e dei giuristi è che così come concepita finora la normativa sia in linea con best pratice di altri paesi. 

Gli ostacoli alla diffusione del modello delle CER

Ovviamente il quadro normativo regolatorio deve diventare definitivo con delle coordinate specifiche per procedere. Quello che per certi versi rimane critico è il livello di cultura e conoscenza rispetto alle CER perché se ne parla moltissimo, ma forse non tutti si rendono conto di cosa dal punto di vista tecnico, giuridico e finanziario comporti. 

L’altra complessità intrinseca a questo modello cooperativo è mettere d’accordo tutti i possibili partecipanti. “Fare una CER è come un’assemblea di condominio, e non sono propriamente un modello di concordia e unanimità”.  

C’è comunque al di là del decreto una complessità di definizione giuridica del modello e conseguentemente alcuni limiti che impattano sulla finanziabilità. Laddove i partecipanti, i condomini non finanziassero il 100% dell’investimento si dovrebbe e ricorrere al finanziamento bancario. Ciò presuppone un accordo complessivo ma è complesso per le banche capire come valutare l’affidamento su un modello del genere. Tenuto anche conto che c’è il rischio che se qualche partecipante esce dalla CER, questa potrebbe venire meno e di fatto, il finanziatore avrebbe un problema.  

Certamente un sistema di incentivi ben strutturato non fa che accelerare gli obiettivi di transizione energetica e i costi dell’energia che sono stati un punto dolente per tutti gli italiani nell’ultimo anno, e una forte spinta a prodursi l’energia in casa e in economia. In più l’incentivo di 120 euro è indubbiamente remunerativo rispetto al costo di generazione del fotovoltaico, che è tipico del tessuto urbano industriale italiano ed è il modello che presumibilmente si svilupperà. 

Per tirare le somme, lato dei fattori positivi rientrano l’attrattività economica e la possibilità di cogliere gli obiettivi della transizione energetica, dall’altra le complessità tecniche e giuridiche di un modello del genere. “Lo sviluppo delle CER ci sarà ma non sarà immediato raggiungere livelli di diffusione di altri paesi, ma anche molti altri paesi sono indietro. Le iniziative in campo sono moltissime e spaziano dalle parrocchie, ai comuni, ai privati cittadini. C’è tanto fermento, ma riuscire a metterle a terra in tempi brevi non sarà altrettanto facile” chiosa Marangoni. 

Comunità energetiche: il ruolo delle rinnovabili

La diffusione delle comunità energetiche prevede un ruolo chiave delle fonti rinnovabili, a partire dal fotovoltaico. Ma in che modo gli operatori del settore energy possono supportare la nascita delle CER? All’EnergyUp 360 Summit è arrivata l’esperienza di Lorella Bigatti, Amministratore Unico, NET (Nuove Energie Teleriscaldamento), una società interamente pubblica pluri-comunale che realizza e gestisce le reti di teleriscaldamento urbano e progetti di efficientamento energetico. Oggi è impegnata nella realizzazione di una CER costituita tra comuni e società pubbliche, un progetto che coinvolge una pluralità di stakeholder e ha l’obiettivo di dare consistenza reale al risparmio energetico, all’utilizzo razionale delle fonti rinnovabili, e all’abbattimento dell’inquinamento tenendo conto le esigenze economiche di fasce della popolazione più deboli.

Qual è il peso e il ruolo dell’innovazione digitale nel settore Energy

“Nelle CER è tutto innovazione e il peso del digitale è preponderante” incalza Bigatti. Anzitutto le CER obbligano a cambiare il nostro paradigma culturale nel consumo dell’energia. Se siamo abituati a consumare meno acqua, risparmiare sugli imballaggi, c’è molta meno consapevolezza ed educazione rispetto al consumare meno nel settore elettrico. 

Quindi, l’innovazione culturale è la base di partenza. Ma serve innovazione anche dal punto di vista tecnologico e qui il digitale è fondamentale. Il monitoraggio del buon funzionamento di una CER è fondamentale e quindi occorre lavorare con piattaforme gestionali per tenere un conteggio adeguato di quello che succederà nelle CER. 

Serve anche una visione perché tutti quanti dobbiamo convincerci che un tipo di produzione diffuso come quello alla base delle CER è una grande innovazione. Siamo abituati storicamente a concentrare la produzione di energia nelle mani di un unico produttore ma ora cambia il paradigma perché c’è tema forte di innovazione nel ridurre l’importazione dei combustibili fossili e i costi energetici per il Paese.

Il digitale per la filiera del teleriscaldamento

Come racconta Bigatti NET è una società pubblica in house, interamente posseduta dal comune di Rho che ha la partecipazione maggiore, Pero e Settimo Milanese, cintura dell’hinterland milanese, che si occupa della filiera infrastrutturale del teleriscaldamento. Ha competenza e responsabilità dalla progettazione alla realizzazione delle reti, distribuzione del calore e fatturazione. La società occupa l’ottavo poso per volume di calore distribuito in Italia, annualmente circa 65 GW/H. La rete è lunga più o meno 80 km, mentre le utenze sono poco meno di 300, principalmente grandi, cioé realtà produttive o condomini.

Grazie a questo vettore energetico annualmente c’è un risparmio di tonnellate di CO2 non emesse in atmosfera superiore alle 10 mila. Il teleriscaldamento si configura quindi come un modo sostenibile ed efficiente per riscaldare e raffrescare le città. Anche nella gestione del teleriscaldamento, tiene a precisare Lorella, il digitale è una componente fondamentale. A partire da quello che c’è sottoterra, per individuare guasti e perdite di rete. Ma ormai tutto il processo viene gestito da remoto.

Il progetto NET nell’hinterland milanese

Come abbiamo citato poc’anzi, NET è impegnata nella realizzazione della prima CER costituita tra comuni e società pubbliche. Il progetto nasce sulla scorta di una manifestazione di interesse di Regione Lombardia un anno fa in cui ha chiesto agli enti locali di manifestare interesse nel creare CER. I comuni soci proprietari della NET hanno affidato alla società pubblica il ruolo di promotore e sviluppatore del progetto per la costituzione di 3 comunità energetiche, una in ogni comune, dove come interlocutori ci sono sia prosumer sia i consumer.  

Nel comune di Rho 3 edifici pubblici (2 scuole e un centro per l’impiego) + 1 società in controllo pubblico ASE (ciclo rifiuti) che fungeranno da prosumer che metteranno a disposizione gli impianti fotovoltaici. 9 consumer: edifici pubblici + 6 punti in capo a società pubbliche (NET, NEV, ASER, NED). Pià o meno lo stesso modello è stato replicato a Pero e Settimo. 

A livello di investimenti per un’iniziativa di questo tipo, variano a seconda della dimensione della CER. In questo caso, cuba 1 milione di euro più o meno per la totalità degli investimenti, diversamente suddivisi. Naturalmente ci sono anche benefici in proporzione. I benefici a cui tutti sono più sensibili sono quelli economici, ma una CER sta in piedi se economicamente si regge. 

I benefici attesi rispetto a questo investimento sono di circa 140 mila euro. Poi ci sono benefici ambientali e sociali non meno importanti. La stima è di un ROI oscillante tra i 9 e 10 anni con il gettito prodotto dalla CER. “Purtroppo – conclude Bigatti – anche se le ipotesi per la realizzazione degli impianti non traguardano il 2024, siamo in attesa di un decreto attuativo emanato dal Ministero che riporterà l’entità degli incentivi che verranno erogati a prosumer e consumer”. 

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