Samandel Point of View

Il ruolo dell’efficienza energetica al tempo del caro energia

La riduzione dei consumi da fonti fossili passa anche dall’impiego di tecnologie efficienti come le pompe di calore, racconta il CEO di Veos Riccardo Bani

Pubblicato il 06 Mag 2022

Immagine di Wise ant da Shutterstock

Mai come oggi, probabilmente, si è parlato tanto di energia, complici la corsa dei beni energetici e le tensioni internazionali acuite dalla guerra russo-ucraina. Nonostante ciò, l’efficienza energetica – che pure dovrebbe rappresentare la principale arma a nostra disposizione – è quasi assente dal dibattito pubblico, che si concentra più sulla necessità di trovare nuovi Paesi da cui importare gas e petrolio o di puntare su altre tecnologie sinora trascurate.

Eppure, l’efficienza energetica, soprattutto nel settore edilizio e in combinazione con le fonti rinnovabili, può concretamente consentire la riduzione della dipendenza dell’Italia dalle importazioni estere in un tempo relativamente ristretto. Ne è convinto Riccardo Bani, fondatore e amministratore delegato di Veos, realtà attiva a tutto campo nel comparto energy (energia ed efficienza energetica, settore ambientale e digitale) attraverso una serie di società controllate, tra cui la ESCo Samandel.

Perché crescono i prezzi dell’energia

Secondo Bani i motivi che hanno portato all’attuale situazione di caro energia sono piuttosto chiari: “L’incremento attuale dei prezzi è figlio di una serie di fattori, tra cui quello climatico (abbiamo avuto consumi più elevati legati alla maggiore rigidità delle temperature), che hanno portato alla diminuzione della capacità di stoccaggio. Tutto questo ha generato, anche per colpa di alcune speculazioni, una crescita del prezzo del gas che si è poi riverberata anche sui prezzi dell’elettricità. La crisi ucraina ha accentuato il fenomeno, in particolare in Italia: siamo un Paese importatore di materie prime e di combustibili fossili, ma non abbiamo mai avuto una strategia energetica nazionale di lungo termine e stabilmente adottata nel tempo che perseguisse la diversificazione delle fonti di approvvigionamento.

I motivi dell’attuale crisi energetica, insomma, sono contingenti, ma una certa tendenza al caro energia è destinata a perdurare anche nel lungo periodo: “Da Kyoto in poi il mondo ha preso degli impegni che vanno nella direzione della neutralità climatica. Questo significa cambiare il modo in cui produciamo e utilizziamo l’energia. Un modello di produzione sempre più basato sulle rinnovabili, rafforzato con dei sistemi di accumulo energetico, comporterà comunque un livello dei prezzi dell’elettricità superiore rispetto a quello a cui eravamo abituati in passato. D’altra parte anche i prezzi dei combustibili fossili tenderanno ad andare verso l’alto, per effetto delle normative ambientali che rallentano le attività di estrazione e i sempre maggiori costi attribuiti alle emissioni di CO2”.

Dove si può fare efficienza energetica

In un contesto di questo tipo, dunque, l’efficientamento energetico dovrebbe essere la priorità, eppure il tema fatica a imporsi nell’agenda pubblica. Quali sono le ragioni? “I motivi sono molteplici. Bisogna comunque ricordare che i consumi energetici pro capite del nostro Paese sono comunque inferiori a quelli medi europei, che loro volta sono sensibilmente inferiori rispetto ad altri paesi occidentali come gli USA. Questo significa che l’Italia, per necessità, un po’ di attenzione all’efficienza energetica l’ha sempre avuta. Siamo il secondo Paese manifatturiero a livello europeo, tra i primi a livello mondiale, con alcuni settori estremamente energivori (per esempio, acciaio e carta). Credo dunque in queste industrie molto sia stato fatto per diminuire i consumi, mentre c’è ancora da lavorare soprattutto in quelle realtà in cui l’incidenza dell’energia non è significativa e non è dunque la priorità numero uno. Senza considerare poi il mondo degli edifici, che a livello europeo consumano il 60% dell’energia, con un impatto del 40% in termini di emissioni. In particolare il riscaldamento pesa per il 18% delle emissioni complessive italiane, con circa 80 milioni di tonnellate l’anno di CO2. Se ci riferiamo poi al gas, i dati ci raccontano che dei 76 miliardi di metri cubi di gas che consumiamo ogni anno, circa 30 miliardi sono legati alla climatizzazione, altrettanti alla generazione di elettricità e il resto al fabbisogno dell’industria. Dunque, le due aree su cui dobbiamo prioritariamente intervenire per aumentare l’efficienza e l’indipendenza energetica del Paese sono estremamente chiare”.

I benefici delle pompe di calore

Per quanto riguarda la climatizzazione, Veos punta con forza sulle pompe di calore, su cui ha investito con la controllata Teon, nella convinzione che si tratti di una tecnologia capace di rivoluzionare il settore del riscaldamento, spingendo sull’elettrificazione, con numerosi benefici energetici e ambientali.

“Si tratta di una tecnologia che è sempre stata più efficiente delle caldaie, per una semplice questione legata al funzionamento delle leggi della termodinamica. Penso dunque sia la strada da perseguire con la massima priorità, non solo nell’ambito civile, ma anche nel settore industriale. Oggi la pompa di calore, grazie alle recenti innovazioni tecnologiche, è in grado di superare gli 80/90 gradi, con efficienze migliori rispetto a quelle delle caldaie ed avrebbe la possibilità di servire una serie di settori industriali che non necessitano di elevatissime temperature (tessile, caseario)”. La sostituzione di caldaie con pompe di calore produrrebbe un azzeramento delle emissioni in loco. Qualcuno potrebbe obiettare che le ricadute ambientali delle pompe di calore a livello Paese non sarebbero significative, dal momento che buona parte della nostra elettricità è ricavata a partire dal gas con centrali a ciclo combinato (dimenticando il continuo incremento della produzione da fonti rinnovabili). Ma anche se l’intera elettricità consumata dalle pompe di calore fosse ricavata a partire da questa fonte, il fabbisogno complessivo di gas sarebbe comunque dimezzato rispetto alle caldaie tradizionali – a parità di numero di impianti –per la maggiore efficienza complessiva della generazione elettrica.

Per spingere questa tecnologia vanno però rivisti i meccanismi incentivanti attualmente in vigore: “Annualmente riqualifichiamo solo l’1% dei nostri edifici: se riuscissimo a portare questa percentuale al 3%, riqualificando anche gli impianti, potremmo ridurre di 10 miliardi di metri cubi annui le importazioni di gas russo (che ammontano a circa 29 miliardi annui), che si sommerebbero ai vantaggi assicurati da un deciso incremento dell’installazione da fonti rinnovabili, così come proposto da Elettricità Futura. Sulle rinnovabili vanno eliminati lacci e lacciuoli normativi che ne ostacolano lo sviluppo, mentre sulla climatizzazione va modificato l’attuale sistema di incentivazione. Non si può continuare a sostenere economicamente la sostituzione delle caldaie, che comunque continuano a consumare gas per ulteriori 15 anni. Gli incentivi, piuttosto, andrebbero legati alla riduzione del consumo di energia primaria da fonti fossili”.

Come fare efficienza energetica in azienda

Politiche e strategie di incentivazione, anche alla luce del piano europeo Fit for 55, potranno essere definite da nuova versione del PNIEC capace di affrontare la tematica dell’efficienza. Intanto, però, le organizzazioni possono perseguire un percorso autonomo per l’efficientamento interno: “Il nostro approccio all’efficienza è semplice: innanzitutto va fatto un checkup energetico dell’azienda, così da capirne le caratteristiche, comprendere quali i vettori energetici siano utilizzati e quanto essi incidano sui consumi; inoltre va valuta l’impronta ambientale. Successivamente va affrontato un lavoro di elaborazione di questi dati per comprendere se ci siano problemi cronici o soltanto acuti. Nel primo caso occorre fare una pianificazione, a valle del quale si individuano gli interventi da implementare, si dimensiona l’entità degli investimenti e si analizzano infine i vantaggi ambientali ed economici. A questo punto si presenta al cliente l’analisi effettuata: sarà poi quest’ultimo a decidere se intervenire o meno, valutando costi e benefici. È sicuramente corretto analizzare un investimento sull’efficienza dal punto di vista della reddittività economica, ma occorre guardare anche ai benefici ambientali. Hanno un valore che tenderà prima o poi a essere interiorizzato da un punto di vista economico, in una logica che è sempre più di tipo ESG”, conclude Bani.

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Gianluigi Torchiani

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