Analisi

Rete di ricarica per la mobilità elettrica: andrà potenziata di 7 volte per centrare i target UE al 2030

Secondo l’analisi di Transport & Environment, il Paese è compliant al Regolamento europeo, ma l’infrastruttura esistente è sufficiente a rispettare i target solo fino al 2026. L’organizzazione raccomanda uno sviluppo omogeneo sul territorio per evitare un’Italia “a due velocità”

Pubblicato il 15 Apr 2024

L’Italia è attualmente conforme al Regolamento europeo sulla rete di ricarica per la mobilità elettrica (AFIR) approvato nel pacchetto Fit for 55. Tuttavia, il 60% dei punti si trova in sole cinque regioni. Inoltre, entro il 2030, i punti di ricarica dovranno aumentare quasi sette volte rispetto al numero attuale. Queste sono le conclusioni di un’analisi condotta dalla organizzazione ambientalista europea indipendente  Transport & Environment (T&E) (consultabile qui) alla vigilia dell’entrata in vigore della normativa che impone agli Stati Membri di fornire un numero minimo di punti di ricarica sul proprio territorio per garantire un’adeguata infrastruttura ai cittadini e alle aziende che intendono passare all’elettrico.

Per assicurare che la diffusione della mobilità a zero emissioni e la disponibilità di ricarica crescano insieme, il Regolamento stabilisce sia un obiettivo “fisso”, relativo all’infrastrutturazione delle principali arterie stradali ed autostradali, che un obiettivo proporzionale all’aumento delle auto elettriche e ibride plug-in immatricolate, che richiede agli Stati Membri di installare 1,3 kW di potenza per ogni veicolo leggero elettrico puro (BEV) immatricolato e 0,8 kW per ogni veicolo ibrido plug-in (PHEV).

La potenza di ricarica sufficiente solo fino al 2026

L’indagine di T&E ha esaminato la situazione attuale della rete di ricarica italiana, verificato il livello di compliance con la normativa, e presentato una modellazione di come potrebbe evolvere e diffondersi la rete fino al 2030. Secondo i ricercatori di T&E, l’Italia dispone attualmente di un’infrastruttura che supera ampiamente quanto richiesto dalla normativa europea: con oltre 42 mila punti di ricarica pubblica e poco più di 1,5 GW di potenza installata corrispondente, le colonnine presenti in Italia – rispetto agli ECV (Electric Chargeable Vehicles) in circolazione – rappresentano il 261% di quanto previsto dal regolamento.

Tuttavia, a causa della natura “dinamica” degli obiettivi AFIR, la potenza di ricarica attualmente installata sarà sufficiente per rispettare i target solo fino al 2026. Per il 2027, T&E prevede una diffusione di poco meno di 2 milioni di veicoli leggeri ECV; in base a questa stima, l’attuale rete di ricarica coprirebbe solo il 67% dell’obiettivo. Al 2030, quando si prevede che la quota di ECV sulle strade salga a oltre 5,7 milioni, l’attuale rete di ricarica coprirà solo il 22% dell’obiettivo. Da queste previsioni emerge un piano d’azione secondo cui l’Italia dovrà aumentare la potenza installata delle colonnine di ricarica sul suo territorio di circa una volta e mezzo entro il 2027 e di circa 4,5 volte entro il 2030. Questo si tradurrebbe in circa 90 mila punti di ricarica al 2027 e in circa 280 mila al 2030, quasi sette volte il numero attuale.

Il rischio di un’Italia ‘a due velocità’

Per quanto riguarda l’installazione dei nuovi punti di ricarica, Transport & Environment solleva una criticità: attualmente, il 60% dei punti di ricarica è concentrato in sole cinque regioni – Lombardia, Piemonte, Lazio, Veneto ed EmiliaRomagna – nonostante queste rappresentino solo il 35% del territorio e poco meno del 50% della popolazione e degli ECV in circolazione. Ne consegue che, per garantire che la rete sia un vero elemento abilitante per la mobilità a zero emissioni, la crescita dell’infrastruttura dovrà avvenire in modo uniforme, diffuso e democratico su tutto il territorio nazionale.

Carlo Tritto, policy officer per T&E Italia ha osservato: “La percezione tra molti italiani è che la rete di ricarica attualmente disponibile sia insufficiente a garantire serenamente il passaggio all’elettrico. Ma è una percezione da correggere. L’Italia ha già un buon livello di diffusione delle colonnine, e l’entrata in vigore del regolamento AFIR garantirà ulteriore crescita. Sarà tuttavia fondamentale assicurare che la rete si sviluppi in modo omogeneo. A oggi è concreto il rischio di un’Italia ‘a due velocità’, con un Nord dove la ricarica pubblica è già piuttosto capillare e un Centro-Sud, invece, dove la rete è chiaramente insufficiente e la sfida appare più difficile”.

Puntare a uno sviluppo capillare delle infrastrutture

Lo studio di T&E esamina anche la conformità con il regolamento AFIR della rete di tutte le 20 Regioni italiane, evidenziando una notevole differenza nel grado di sviluppo dell’infrastruttura. Sebbene sia giusto e ovvio dal punto di vista economico implementare un maggior numero di punti di ricarica nelle aree dove la flotta elettrica è più grande, è fondamentale garantire una sufficiente capacità di ricarica su tutto il territorio. Tutti i cittadini e le aziende logistiche devono poter ricaricare ed effettuare viaggi lunghi; inoltre, anche le aree con poca attività industriale e logistica ma con forte vocazione turistica stagionale devono avere la possibilità di una mobilità efficiente e pulita.

Il Regolamento AFIR richiede agli Stati Membri anche di elaborare un piano per lo sviluppo della rete di ricarica, da presentare alla Commissione Europea entro il 31 Dicembre 2024. In questo contesto, T&E ritiene essenziale che questo piano coincida con un aggiornamento del PNIRE (la cui ultima versione risale al 2016, quando la mobilità elettrica era ancora una tecnologia di nicchia); e raccomanda che gli obiettivi nazionali siano declinati a livello regionale, per garantire uniformità alla rete e assicurare che la transizione della mobilità su strada sia democratica e socialmente equa.

L’omogeneità è una condizione imprescindibile

T&E suggerisce alcune misure per sostenere l’espansione della rete di ricarica che dovrebbero essere adottate presto: tra queste, l’estensione del meccanismo di credito all’elettricità rinnovabile erogata dalle colonnine (come implementato in Olanda), la messa a bando di lotti per la realizzazione della rete (come fatto in Germania), che raggruppa punti a maggior profittabilità per gli operatori con altri meno redditizi ma strategici per il regolatore. Secondo l’organizzazione ambientalista, lo sviluppo di una rete pubblica di ricarica diffusa, uniforme e in grado di spingere i consumatori verso le tecnologie a zero emissioni è una condizione indispensabile per raggiungere gli obiettivi che lo stesso Governo si sta prefiggendo per il 2030 all’interno della revisione del PNIEC, ovvero 6,3 milioni di veicoli ECV in circolazione al 2030 e 963 ktep di rinnovabili elettriche, sempre per quella data, nei trasporti stradali.

Gioverebbe non solo al pianeta ma anche al mercato

Carlo Tritto conclude: “I dati mostrano che l’attuale livello di infrastruttura è più che sufficiente, se rapportato al numero di veicoli elettrici sulle nostre strade. Ma questo numero è tuttavia uno dei più bassi in Europa. Potenziare fin d’ora la rete di ricarica, assicurando uno sviluppo capillare della stessa, non è solo indispensabile per conseguire gli obiettivi sul clima fissati dal Governo; è necessario per riportare l’Italia sui binari della transizione nel settore trasporti. Un piano capace di dotare il Paese di una rete di ricarica abilitante gioverebbe non solo al pianeta ma anche al mercato, che potrebbe risollevarsi dallo stato di crisi in cui si trova.”

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