Rinnovabili

Comunità energetiche: come funzionano e quali sono le prospettive

Le comunità energetiche rappresentano una formula che prova a conciliare la crescita delle rinnovabili con una gestione comune a livello territoriale, che permetta di massimizzare investimenti e benefici

Pubblicato il 08 Gen 2021

Comunità energetiche: si tratta di una formula che sta riscuotendo un crescente successo nel mondo dell’energia e che potrebbe innescare un nuovo sviluppo delle fonti rinnovabili, più vicino alle esigenze dei consumatori di energia, cioè tutti noi. Ma di che cosa stiamo esattamente parlando? Quali sono le prospettive delle Comunità energetiche? Quali sono le normative che ne disciplinano il funzionamento? Cerchiamo di andare con ordine, facendo riferimento anche al recente Electricity Market Report dell’Energy & Strategy Group del Politecnico di Milano. Come abbiamo anticipato in precedenza, le Comunità energetiche hanno strettamente a che fare con le fonti pulite, in particolare con il solare fotovoltaico. Che hanno conosciuto un notevole sviluppo nel nostro Paese, ma ogni impianto – grande o piccolo che fosse – sinora ha funzionato per sè, cedendo la propria energia elettrica alla rete nazionale, oppure (più raramente) conservandola nei propri impianti di accumulo elettrochimico.

L’alternativa fondata sull’autoconsumo

Il risultato finale è che il nostro Paese è disseminato di migliaia di mini centrali elettriche green, spesso tra l’altro troppo concentrate in un solo luogo, fattore che ha richiesto importanti investimenti sulle reti elettriche (in ottica Smart Grid) per distribuire su scala nazionale la produzione generata a livello locale. L’alternativa delle Comunità energetiche è quella di spingere al massimo l’autoconsumo di questi impianti, arrivando a una gestione collettiva degli impianti presenti in un determinato territorio,  che favorisca gli scambi energetici tra domanda e offerta.

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Comunità energetiche: una definizione

In questo senso, secondo REf-E, la comunità energetica può essere definita come qualsiasi forma di aggregazione e condivisione delle responsabilità, nonché dei benefici, che si possono ottenere dalla realizzazione di un impianto di produzione di energia elettrica. Una definizione più circoscritta arriva dalla RED II, la renewable energy directive, che nel 2018 ha stabilito la normativa di riferimento per le Comunità energetiche a livello europeo: si tratta di un soggetto giuridico che, conformemente al diritto nazionale applicabile, si basa sulla partecipazione aperta e volontaria; è autonomo ed è effettivamente controllato da azionisti o membri che sono situati nelle vicinanze degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili. L’obiettivo delle REC (Renewable energy community) è fornire benefici ambientali, economici o sociali a livello di comunità ai suoi azionisti o membri o alle aree locali in cui opera, piuttosto che profitti finanziari.

Gli incentivi italiani per le comunità energetiche

In Italia, la direttiva europea è stata recepita definitivamente lo scorso settembre con un Decreto adottato lo scorso 16 settembre: il provvedimento stabilisce la distinzione tra l’autoconsumo collettivo, attivabile da famiglie e altri soggetti che si trovano nello stesso edificio o condominio, e le comunità energetiche, a cui possono partecipare persone fisiche, PMI, enti locali, ubicati in un perimetro più ampio rispetto a quello dei condomini. Soprattutto il decreto ha stabilito l’istituzione di una vera e propria tariffa incentivante per l’energia autoconsumata da queste configurazioni, pari rispettivamente a:

100 €/MWh per le configurazioni di autoconsumo collettivo;
110 €/MWh per le comunità energetiche rinnovabili.

L’incentivo, riconosciuto per un periodo di 20 anni e gestito dal GSE, è cumulabile con il Superbonus al 110% e punta a trasformare l’attuale sistema elettrico centralizzato, alimentato in larga parte da combustibili fossili, in un sistema decentrato ed efficiente, a

Il ruolo dei developer per lo sviluppo delle Comunità energetiche

Ma qual è effettivamente il potenziale di diffusione delle Comunità energetiche in Italia? L’Energy & Strategy Group ha stimato innanzitutto il mercato potenziale, cioè il totale delle utenze energetiche e degli edifici che potrebbero entrare a far parte delle configurazioni. Successivamente si è identificato il mercato realmente “disponibile”, cioè il sottoinsieme che tiene conto della presenza di vincoli tecnici invalidanti. Infine, si sono identificati tre scenari di penetrazione attesa, “moderato”, “intermedio”, “accelerato”.

Lo scenario “intermedio” si basa sull’assunto che la diffusione delle configurazioni parta “dal basso”, supportata dalla presenza di un solido razionale economico, mentre in quello “accelerato” un ruolo chiave è giocato dai cosiddetti “developer”. Si tratta di soggetti diversi dai membri. che possono contribuire a configurare le comunità, in quanto ricercano e aggregano i membri, installano gli asset, forniscono tecnologie hardware e software per la gestione degli asset e servizi di efficienza energetica, abilitano alla partecipazione al MSD. La presenza dei developer può – tra le altre cose – favorire l’aggregazione delle utenze (soprattutto in ambito residenziale) e limitare/azzerare gli investimenti a carico delle utenze energetiche.

Non solo ricadute economiche

Seppur con differenze significative tra i diversi scenari, le potenzialità di mercato nel nostro Paese appaiono ragguardevoli. La stima del Politecnico, infatti, è che potrebbero essere coinvolte nel prossimo quinquennio (2021-2025) circa 150-300 mila utenze non residenziali e oltre 1 milione di utenze residenziali, dando vita (nello scenario intermedio) a circa 5-10 mila configurazioni di autoconsumo collettivo e circa 20.000 Comunità Energetiche Rinnovabili. Le ricadute sarebbero di tipo economico (ad esempio con riferimento al volume d’affari generato per la fornitura delle componenti tecnologiche necessarie), ma anche fiscale, energetico ed ambientale, come ad esempio l’incremento della generazione fotovoltaica e la conseguente riduzione delle emissioni.

Le prospettive di sviluppo delle Comunità energetiche

Più nel dettaglio, la diffusione delle comunità energetiche potrebbe portare, in totale, all’installazione di oltre 3,5 GW di impianti fotovoltaici e 1,3 GWh di capacità di accumulo, generando un volume d’affari di 4 miliardi di euro supportati da incentivi per 6,5 miliardi di euro su un orizzonte di 20 anni. Sempre con riferimento allo scenario intermedio, si prevede che al 2025 le comunità energetiche e gli autoconsumatori di energia rinnovabile che agiscono collettivamente potrebbero contribuire al 45% della nuova potenza di fotovoltaico installata necessaria al nostro Paese per raggiungere l’obiettivo fissato dal PNIEC, un traguardo non semplice da toccare.

Il Decremento delle emissioni

Nel medesimo anno, il contributo rispetto alla produzione complessiva di fotovoltaico sarebbe circa dell’11%. Inoltre, la diffusione delle configurazioni di autoconsumo collettivo avrebbe come impatto positivo una riduzione delle perdite di rete stimata nell’intorno di circa 5,5 GWh/anno, pari a circa 110 GWh cumulati nel periodo di vita utile degli impianti.
Il decremento delle emissioni di CO2 nello stesso arco di tempo è stimato intorno alle 23 milioni di tonnellate, che economicamente possono essere quantificate in altri 460 milioni di euro nello scenario intermedio, considerando una valorizzazione cautelativa di 20 euro/ton per la CO2.

Dunque le Comunità energetiche, è facile da capire, rappresentano un’opportunità per il settore e per il sistema energetico nazionale, chiamati nei prossimi anni a moltiplicare gli sforzi per  raggiungere gli ambiziosi obiettivi di decarbonizzazione. 

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Gianluigi Torchiani

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