Sostenibilità

Criptovalute, come renderle più efficienti e sostenibili per l’ambiente

Bitcoin e altre criptovalute hanno un consumo energetico estremamente rilevante. Secondo VMware, però, la tecnologia può offrire un importante contributo alla risoluzione del problema

Pubblicato il 13 Lug 2022

Joe Baguley, VP e CTO EMEA, VMware

La discussione intorno alla sostenibilità è chiara e urgente: dobbiamo ridurre le emissioni di CO2 se vogliamo avere qualche possibilità di non avere un aumento potenzialmente catastrofico della temperatura globale. E se quasi tutti i settori, anche quelli tradizionalmente più inquinanti, stanno cercando di cambiare attivamente le proprie modalità operative per combattere il cambiamento climatico, c’è un’eccezione che non agisce come dovrebbe: i Bitcoin.

Considerati da molti come il manifesto dell’innovazione digitale di oggi, i Bitcoin si trovano all’apice della rivoluzione crittografica, che si è sviluppata dimostrando tutto il suo potenziale per guidare l’inclusione finanziaria e sconvolgere il modo in cui effettuiamo le transazioni di denaro. Tuttavia, la rivoluzione Bitcoin è stata così dirompente da non aver preso minimamente in considerazione l’impatto ambientale che ne deriva. La quantità di energia che consuma è enorme e, se il mondo vuole affrontare seriamente il cambiamento climatico senza rinunciare alle valute digitali, qualcosa deve cambiare.

Una modalità inutile di utilizzo dell’energia

Tim Berners-Lee, uno che di innovazione digitale se ne intende, è arrivato a descrivere il mining di Bitcoin come “uno dei modi sostanzialmente più inutili di utilizzare l’energia”. Guardando le cifre, è difficile contraddirlo. Il Cambridge Bitcoin Electricity Consumption Index stima che i Bitcoin, la criptovaluta ad oggi più estratta, consumino ogni anno circa 136,38 Terawattora di elettricità, una cifra maggiore al consumo energetico di Paesi Bassi, Argentina o Emirati Arabi Uniti. Digiconomist, un sito di analisi delle criptovalute, ha calcolato una cifra di 204,5 Terawattora, che equivale a circa 2.145 kilowattora di elettricità per transazione, la stessa quantità di energia consumata da una famiglia americana media in 73,52 giorni.

Il Bitcoin non è di certo l’unica criptovaluta ad avere un impatto così forte sull’ambiente. Si stima che Ethereum, la seconda maggiore rete di criptovalute globale, utilizzi 112,6 Terawattora di elettricità all’anno, una quantità di energia superiore a quella richiesta da Filippine o Belgio. Bisogna poi considerare che esistono molte altre tipologie di criptovalute, il che significa che la quantità di energia consumata dalla loro estrazione è destinata ad aumentare nel tempo, supponendo che i prezzi e l’adozione da parte degli utenti continuino a crescere.

Impatto ambientale, una variabile posta in secondo piano

In questo scenario, non si può di certo sfuggire all’impatto ambientale della crescita delle criptovalute. I fondatori dei Bitcoin hanno commesso un errore piuttosto ingenuo nel costruire la propria criptovaluta su una blockchain Proof-of-Work1, che si basa sul “mining” e richiede dunque enormi quantità di potenza di elaborazione. Inoltre, questo processo richiede un flusso di energia affidabile, economico e continuo per funzionare che, purtroppo, è meglio garantito da risorse energetiche sempre disponibili, come quelle fornite dai combustibili fossili.

Il sistema è stato progettato per rendere proibitivo (ma non impossibile) prendere il controllo di un’intera rete di criptovalute. Così, per mitigare un problema, i creatori dei Bitcoin ne hanno creato un altro, ancora più grande. Lo sbalorditivo consumo di energia è la prova che quando innoviamo o implementiamo nuove tecnologie, il loro impatto ambientale non è sempre prioritario (o addirittura considerato) all’inizio. L’attuale crisi energetica e ambientale dimostra che questa mentalità deve cambiare al più presto. Cosa si può fare, dunque?

Fonti più sostenibili

I Bitcoin e le altre valute basate sulle blockchain Proof-of-Work devono passare a fonti più sostenibili. Questo non accadrà da un giorno all’altro – forse mai, completamente – ma stiamo iniziando a vedere qualche movimento positivo in questo senso. Il Paraguay, ad esempio, ha un approvvigionamento energetico basato quasi interamente su fonti idroelettriche. Ciò significa che i Bitcoin estratti nel Paese avranno un’impronta di carbonio inferiore rispetto ai Bitcoin estratti in nazioni che dipendono dai combustibili fossili. Per questo motivo, il Paraguay ritiene di poter diventare l’hub crittografico dell’America Latina.

In prospettiva, la diffusione dei Bitcoin accelererà anche la ricerca sulla riduzione dei costi di stoccaggio dell’energia rinnovabile. Inoltre, i (timidi) passi compiuti dai governi per trasformare i Bitcoin in moneta legale potrebbero potenzialmente portare allo sviluppo di politiche meglio ponderate per il mining delle criptovalute e la penalizzazione delle violazioni delle norme ambientali.

Green by design

C’è poi da ricordare che non tutte le criptovalute hanno lo stesso impatto ambientale dei Bitcoin. Abbiamo bisogno di una criptovaluta che sia green by design. Per questo, è fondamentale dare priorità alla costruzione di un ecosistema blockchain più sostenibile e stabile sia dal punto di vista ambientale sia finanziario. È qui che entrano in gioco le blockchain Proof-of-Stake.

In questo sistema, infatti, l’attività di mining è sostituita da quella di staking: una rete di “validatori” contribuisce con le proprie criptovalute in cambio della possibilità di convalidare nuove transazioni, aggiornare la blockchain e guadagnare una ricompensa. In questo modo, il mining è eliminato e il processo non è duplicativo, evitando così il consumo di quantità inutili di energia. Ethereum, ad esempio, sta facendo passi da gigante cercando di migrare il suo intero ecosistema Proof-of-Work verso Ethereum 2.0, un sistema Proof-of-Stake. La Fondazione Ethereum, l’organizzazione che sta dietro alla criptovaluta, sostiene che il costo energetico di ogni transazione potrebbe essere ridotto del 99,95%.

Molti operatori del settore desiderano garantire che l’energia consumata dall’industria sia completamente carbon free. Nell’aprile 2021, tre importanti organizzazioni (Energy Web Foundation, Rocky Mountain Institute e Alliance for Innovative Regulations) hanno dato vita al Crypto Climate Accord, sostenuto da organizzazioni che operano nei settori della finanza, delle ONG e dell’energia e del clima. L’obiettivo dell’accordo è quello di decarbonizzare l’industria in tempi record e di ottenere emissioni net-zero nell’industria globale delle criptovalute entro il 2030.

Il peso ambientale dei Bitcoin

L’enorme impatto ambientale dei Bitcoin e di altre blockchain Proof-of-Work dimostra quindi che non possiamo mai guardare all’innovazione nel breve termine. Oggi ci troviamo a dover affrontare un’importante sfida alla sostenibilità causata dall’uomo stesso, che avrebbe potuto essere completamente evitata con un briciolo di lungimiranza.

Il lato positivo è che così come la tecnologia ha contribuito a creare un problema, può contribuire a risolverlo. Energie rinnovabili, blockchain Proof-of-Stake e altri strumenti emergenti sono tutti a portata di mano. La domanda, ora, è se i Bitcoin siano pronti a viaggiare allo stesso ritmo dell’agenda globale della sostenibilità.

  • A cura di Joe Baguley, VP e CTO EMEA, VMware
@RIPRODUZIONE RISERVATA

Valuta la qualità di questo articolo

La tua opinione è importante per noi!

Argomenti trattati

Aziende

V
VMware

Approfondimenti

E
efficienza
R
rinnovabili

Articolo 1 di 2