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ENEA: la ripresa dei consumi 2021 è stata trainata dalle risorse fossili

Dopo il 2020 caratterizzato dall’effetto Pandemia, il 2021 presenta diverse componenti negative, tra cui la riduzione del peso percentuale delle rinnovabili nella copertura del fabbisogno

Pubblicato il 01 Apr 2022

Rialzo dei consumi, aumento delle emissioni e corsa dei prezzi: non è quadro ultra rassicurante quello che emerge dall’Analisi trimestrale del sistema energetico italiano dell’ENEA relativa al 2021. Un anno estremamente particolare certo, per effetto del “rimbalzo” dopo la pandemia del 2020, ma non mancano gli aspetti negativi.

“Lo scorso anno è stato ‘recuperato’ circa l’80% dei consumi di energia che la crisi pandemica aveva fatto precipitare, con una crescita dell’8% rispetto al 2020. Oltre la metà di questo recupero è avvenuto nel II trimestre 2021, ma l’incremento della domanda è rimasta sostenuta anche nella seconda parte dell’anno, con un +7% nel III trimestre e un +6% nel IV. L’evoluzione dei consumi energetici ha sostanzialmente seguito per tutto il 2021 una traiettoria coerente con quella delle variabili guida della domanda di energia, ovvero PIL, produzione industriale e clima, secondo l’ENEA. Più che la ripresa del fabbisogno in sè, a preoccupare è soprattutto la relativa copertura:  il 40% dell’aumento dei consumi 2021 è imputabile al petrolio, oltre il 30% al gas naturale, quasi il 20% alle importazioni di elettricità e il resto ai combustibili solidi.

La domanda di petrolio, pur restando ancora decisamente inferiore ai livelli pre-Covid, è cresciuta del 10%, con un recupero di circa il 50% della contrazione registrata nel 2020. Forte incremento anche per i consumi di gas (+7% sul 2020), che non solo superano i livelli 2019 (+2,4%) ma si collocano sul valore massimo degli ultimi dieci anni. Forte ripresa delle importazioni nette di elettricità (+30%) e significativo aumento dei consumi di carbone (+10%), soprattutto nel termoelettrico, anche se restano comunque decisamente inferiori ai livelli pre-Covid (-15%). Tanto che la quota delle fonti rinnovabili si è attestata al di sotto del 19% dei consumi finali, in diminuzione di oltre un punto percentuale rispetto ai massimi raggiunti nel 2020. In questo contesto non stupisce la crescita delle emissioni di CO2 (+8,5%) – con il recupero del 70% di quelle “perse” nel 2020 per la pandemia – e il forte peggioramento (-27%) dell’indice ISPRED, elaborato dall’Agenzia per misurare la transizione energetica sulla base dell’andamento di prezzi, emissioni di CO2 e sicurezza degli approvvigionamenti.

L’aumento delle emissioni di CO2 (+8,5%) è imputabile in primo luogo ai trasporti per una quota di oltre il 50%, a seguire il civile (20%), la generazione elettrica (15%) e l’industria (8%). Nel caso dei trasporti le emissioni sono cresciute complessivamente del 15% rispetto al 2020, mentre gli altri settori hanno registrato aumenti compresi tra il 5 e il 6%. Per quanto riguarda i prezzi, l’ultimo trimestre 2021 ha anticipato poi l’esplosione del primo trimestre del 2022: il valore o del gas al TTF si è attestato intorno ai 100 €/MWh rispetto ai 20 €/MWh del I trimestre (+400%), mentre quelli dell’elettricità sulle borse europee hanno seguito a ruota, con il PUN[2] cresciuto del 300% nello stesso intervallo di tempo (da 60 a 240 €/MWh). Questi aumenti si sono progressivamente traslati sui consumatori finali, sebbene in misura parziale per gli eccezionali interventi di sterilizzazione operati dal Governo.

Infne, ENEA segnala un raddoppio del deficit commerciale italiano nel comparto delle tecnologie low-carbon, come già avvenuto nel 2020. I settori a più forte dipendenza dall’estero sono gli accumulatori agli ioni di litio (con un saldo che si avvicina al miliardo di euro), i veicoli ibridi plug-in (deficit di 600 milioni di euro) e i prodotti del fotovoltaico (passati da -40 a -400 milioni di euro), a causa di un marcato aumento delle importazioni delle celle fotovoltaiche. Nel settore dei veicoli elettrici sembra invece delinearsi una possibile tendenza positiva, perché le esportazioni sono passate da circa 270 a 780 milioni di euro, con un saldo netto solo di poco negativo.

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