Rinnovabili

Race to Zero: la rivoluzione della generazione eolica flottante

Cos’è l’eolico offshore flottante? Perché è importante per il nostro sistema energetico futuro? Occorre creare nuovi modelli di sviluppo, che vedano la compartecipazione di più soggetti, lungo tutta la filiera, fino ad arrivare alla co-creazione

Pubblicato il 16 Nov 2021

Ilario Scian

Global Product Manager Industrial & Specialty Transformers, Hitachi Energy

La lotta alle emissioni di anidride carbonica sembra senza quartiere: le promesse e gli impegni presi da stati e organizzazioni negli ultimi incontri internazionali (dal G20 a COP26) sono davvero sfidanti, sebbene non abbastanza coraggiosi per mettere al sicuro il futuro dei nostri figli e delle generazioni a venire. In Italia l’eolico flottante offshore (sul mare) avrà un ruolo fondamentale in questo scenario.

La transizione nel settore energetico

Attenzione particolare merita il settore energetico che, secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA), rappresenta oltre il 70% delle emissioni globali. Occorre ripensare la filiera, dalla generazione, alla distribuzione e trasmissione, implementando tecnologie ebusiness model sempre più evoluti.

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Se ci limitiamo dunque agli aspetti tecnologici della questione – senza entrare in quelli economici e culturali – due sono le parole magiche: rinnovabili e transizione. Una ci parla di futuro, l’altra di un percorso.

Non c’è infatti una ricetta perfetta per riconvertire all’istante la generazione energetica affinché sia totalmente green. Inoltre, occorre considerare l’incremento della domanda di energia elettrica che verrà da alcuni settori produttivi: non c’è dubbio che l’elettricità sarà la spina dorsale dell’intero sistema energetico, in un futuro non troppo lontano.

Bisogna quindi disegnare un percorso di transizione che ci permetta di ridurre le emissioni della generazione convenzionale (per es. con sistemi e infrastrutture più efficienti), mentre costruiamo gli scenari futuri, di generazione sostenibile: alla partita della transizione energetica il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza destina 60 miliardi di euro.

E dunque, mentre miglioriamo le soluzioni attuali per catturare la CO2 prodotta o per ridurre le perdite della rete o ancora per potenziare gli impianti idroelettrici, dobbiamo immaginare lo scenario futuro 100% carbon free.

In Italia possiamo dire fin d’ora che in quello scenario l’eolico flottante offshore (sul mare) avrà un ruolo fondamentale.

Ma cos’è l’eolico offshore flottante? E perché è importante per il nostro sistema energetico futuro?

Conosciamo abbastanza bene l’eolico onshore (sulla terraferma); a tutti noi è capitato di imbatterci in una o più pale eoliche, viaggiando in Italia. Difficile, in Italia, invece imbattersi in un parco eolico offshore – ovvero in mare.

Parchi eolici offshore in Italia e all’estero

I parchi eolici offshore sono invece ormai parte del paesaggio nelle zone ventose del mondo in cui i fondali sono più bassi. Tipicamente i parchi eolici tradizionali sono installati e fissati al fondo del mare a profondità massime di 60 metri, limite che può essere superato solamente dalle installazioni eoliche flottanti che sono “ancorate” anziché “fissate” definitivamente al fondale, in modo che resistano alle difficili condizioni del mare aperto. Per mettere le cose in prospettiva, si consideri che l’80% delle risorse eoliche mondiali si trovano in mare aperto dove la profondità del fondale è oltre i 60 metri.

Dogger Bank Wind Farm, il più grande parco eolico offshore del mondo, è nel Mare del Nord a una distanza di 130 km dalla costa inglese della regione dello Yorkshire dove le acque sono straordinariamente basse (tra i 20 m e i 35 m). Questo parco eolico si estenderà per 1.114 kmq raggiungendo una distanza di oltre 200 km dalla costa, avrà una potenza totale di 3,6 GW e verrà costruito in tre fasi ciascuna da 1,2 GW per un totale di 600 turbine (200 turbine per fase). Una volta completato, nel 2026, sarà capace di fornire potenza a 6 milioni di case in Inghilterra.

Sappiamo che per far fronte alla crescente domanda di energia verde, gli operatori hanno necessità di incrementare la capacità dell’eolico offshore (meno impattante sul panorama), ma si scontrano con la difficoltà di trovare siti idonei: servono molto vento, acque basse e fondali adatti. Dogger Bank è infatti un caso più unico che raro. Di norma, le profondità del mare, a quella distanza dalla costa e con quelle condizioni di vento, sono decisamente superiori; si stima che l’80% delle aree più vocate all’eolico offshore siano a elevate profondità.

Nonostante le difficoltà oggettive, però, è una strada da percorrere obbligatoriamente per onorare gli impegni della sostenibilità.

Secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia, infatti, per raggiungere l’obiettivo net-zero entro il 2050, i paesi del G7 dovranno puntare sull’innovazione per ridurre del 30% le emissioni del settore elettrico, il che richiederà una collaborazione internazionale finalizzata anche alla costruzione di una leadership tecnologica.

Quanto alle fonti, le tecnologie mature – tra cui quella idroelettrica – contribuiranno solo per il 15% circa. Circa il 55% deriverà dall’impiego di tecnologie che hanno ancora un enorme margine di crescita, come l’eolico onshore e il solare fotovoltaico, o che sono in fase iniziale di adozione, come le pompe di calore e le batterie. Le tecnologie ancora in sviluppo, come l’eolico offshore galleggiante, la cattura del carbonio e l’idrogeno, fornirebbero un altro 30%.

Sfruttare l’eolico offshore (anche galleggiante) sarà quindi una componente chiave per soddisfare gli obiettivi globali di emissioni di carbonio net-zero entro il 2050. Per quanto riguarda l’Italia, l’Associazione Nazionale Energia del Vento (ANEV) stima un potenziale offshore di 5 GW per il 2040 in alcune zone particolarmente vocate: Puglia, Calabria, Sicilia, e Sardegna.

Per l’Italia, l’eolico offshore flottante è l’opzione migliore per diverse ragioni.

La prima è senz’altro l’elevata profondità dei fondali, la seconda è la particolare attenzione alla tutela e salvaguardia del paesaggio che, se da un lato frena la diffusione delle rinnovabili onshore perché considerate troppo impattanti, dall’altro dovrebbe spingere ancor di più verso l’eolico offshore galleggiante.

L’interesse c’è: recentemente Terna ha dichiarato di aver ricevuto richieste di connessione per impianti eolici offshore (per lo più da impianti a oltre 100 m di profondità) per ben 17 GW.

Come funziona un impianto eolico flottante offshore

Da un punto di vista pratico occorre ricordare che le strutture galleggianti offshore sono in costante movimento, esposte continuamente a vibrazioni e urti da onde alte anche 15 metri, nonché all’azione corrosiva della salsedine. Ovviamente non parliamo solo delle pale eoliche e delle sottostazioni elettriche offshore, ma di tutto ciò che serve a generare e trasportare l’energia a terra e da lì agli utenti finali.

Di norma un impianto eolico offshore galleggiante contiene molte turbine eoliche disposte a notevoli distanze tra di loro – in modo da ridurre gli effetti delle loro scie aerodinamiche – ed una sottostazione elettrica galleggiante che raccoglierà l’energia delle turbine, la eleverà di tensione e la trasporterà a riva utilizzando cavi elettrici posati sul fondale marino.

La progettazione del sistema richiede particolare attenzione, anche perché la manutenzione e l’intervento in emergenza di una struttura in mezzo al mare comporta ulteriori complessità e costi. Inoltre, nell’ipotesi che si riesca a sfruttare al meglio la potenza di generazione costruendo farm a grande distanza dalla costa (che è apprezzabile da un punto di vista paesaggistico) occorre minimizzare la dispersione nella trasmissione dell’energia dalla turbina alla terraferma.

Tecnicamente e semplificando molto, innanzitutto si tratta di far galleggiare in sicurezza le turbine – con potenze da 8 MW in su e diametri di rotore oltre i 160 metri – assicurandole al fondo del mare con varie tecniche. Un primo metodo è con un telaio triangolare semi-sommergibile con serbatoi verticali zavorrati a due angoli che stabilizzano la pala, al terzo vertice.

eolico offshore

Un’altra soluzione, invece, vede la turbina in un lungo e profondo tubo zavorrato sommerso. La terza opzione prevede una struttura in acciaio o in cemento sommersa che stabilizza la pala. La struttura è ancorata al fondale tramite cavi regolabili. Alcuni sensori identificano il vento in arrivo e l’attività del moto ondoso e regolano la lunghezza dei cavi in tempo reale per dare la giusta stabilizzazione. Ovviamente anche le altre soluzioni prevedono un ancoraggio al fondale con cavi, il che è un ulteriore fattore di complicazione.

Come detto, sono in sviluppo anche le sottostazioni galleggianti che servono per innalzare la tensione dell’elettricità generata dalle turbine eoliche – tipicamente da 66 kV a 220 o 275 kV – e trasmettere l’elettricità a terra in modo efficiente riducendo le perdite di tensione e minimizzando le perdite di potenza. La sottostazione elettrica flottante è generalmente dotata di equipaggiamenti elettrici di grandi dimensioni e potenza – si pensi che può avere potenze che vanno dai 200 MW agli 800 MW e che ci sono progetti anche per 1200 MW e più – quali trasformatori, reattori, interruttori di alta tensione e di tante altre apparecchiature elettriche per il controllo, l’automazione e tutti i servizi ausiliari della sottostazione.

Problematiche dell’eolico flottante offshore

Spesso si è tentati di considerare lo stesso tipo di fondazione galleggiante sia per le turbine eoliche che per la sottostazione elettrica, sfruttando così le sinergie nella progettazione, costruzione, installazione e persino operative e di manutenzione. Tuttavia, questa sinergia è difficile da realizzare a causa del diverso peso – la sottostazione è significativamente più pesante di una turbina eolica – e della distribuzione del peso molto diversa – il baricentro è molto più basso nella sottostazione. Questi fattori hanno un impatto sulla stabilità e sulla tenuta al mare della fondazione galleggiante, richiedendo dimensioni e talvolta anche un concetto completamente diverso. Inoltre, la sottostazione ha una moltitudine di cavi sottomarini collegati, tipicamente più di otto-dieci cavi provenienti dalle turbine eoliche e uno o due cavi per il trasporto dell’energia a terra.

Questa fitta configurazione di cavi sottomarini è molto sensibile agli ampi spostamenti ed escursioni troppo lontane dalla sua posizione originale possono danneggiare il cablaggio creando disservizi e guasti sull’intero parco eolico. Il sistema di ormeggio richiede quindi un’attenzione speciale per dare stabilità alla sottostazione ed elevato livello di ridondanza in caso di guasto della linea di ormeggio.

Nonostante le difficoltà, ci sono diversi progetti appena partiti o che partiranno a breve. 4C Offshore stima che, globalmente, la capacità installata dell’eolico flottante sarà di 14 GW per il 2030 e di 40 GW per il 2035. La tecnologia è già sviluppata e ci sono diverse installazioni pilota di turbine flottanti nel mondo. Per la costruzione delle sottostazioni galleggianti è al lavoro un’intera nuova catena di fornitura, con una stretta collaborazione e coordinazione sia con le società energetiche che con i progettisti delle piattaforme.

Conclusioni

Per l’Italia, l’introduzione di questa nuova tecnologia significa superare, oltre alle difficoltà tecnologiche e logistiche, anche difficoltà burocratiche e amministrative. L’eccessiva lunghezza degli iter di approvazione è argomento noto e non nuovo. Lo stesso Ministero per la Transizione Ecologica si sta impegnando per ridurre i tempi, senza ovviamente comprometterne la funzione. Significa però anche creare nuovi modelli di sviluppo, che vedano la compartecipazione di più soggetti, lungo tutta la filiera. La collaborazione – fino ad arrivare alla co-creazione – in questo contesto è vincente.

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