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Rinnovabili, per l’Italia gli obiettivi al 2030 restano lontani

Secondo il Rapporto sulle energie rinnovabili 2023 (RER) realizzato dall’Energy & Strategy della School of Management del Politecnico di Milano la crescita delle nuove installazioni nel 2022 è decisamente al di sotto di quanto sarebbe necessario per raggiungere i target Ue

Pubblicato il 23 Mag 2023

La capacità rinnovabile installata dall'Italia e la distanza rispetto agli obiettivi 2030 (fonte Energy & Strategy Group)

Il Rapporto sulle energie rinnovabili 2023 (RER) realizzato dall’Energy & Strategy della School of Management del Politecnico di Milano spegne gli entusiasmi  sulla crescita delle fonti pulite nel nostro Paese e lancia anzi l’allarme: il ritmo con cui l’Italia sta installando nuovi impianti a fonte rinnovabile è decisamente troppo lento rispetto a quanto servirebbe per raggiungere gli obiettivi di 125-150 GW al 2030.

I ritardi dell’Italia

Più nel dettaglio, nonostante i 3 GW aggiunti nel 2022 (526 GW di eolico e 2,5 GW di fotovoltaico) rappresentino una crescita del 125% sul 2021 e abbiano portato la capacità FER installata a 63,6 GW, il report si concentra sulla distanza rispetto ai target assunti dall’Italia al 2030. Secondo l’Energy & Strategy, infatti, i numeri del 2022 sono appena un terzo dei circa 10 GW (tra 8,6 e 10,7 GW) che dovremmo aggiungere annualmente per tenere il passo con gli obiettivi, senza considerare l’elettrificazione dei consumi, che porterà al raddoppio del fabbisogno elettrico (+126%) entro il 2050.

In particolare per quanto riguarda le due principali fonti pulite, fotovoltaico ed eolico, l’Energy & Strategy nota come a fine 2022 la potenza totale installata da fotovoltaico superava i 25 GW complessivi, di cui 2,5 GW aggiunti nell’ultimo anno e suddivisi in 295.000 nuovi impianti: la crescita, però, è stata trainata soprattutto da impianti di piccola taglia (meno di 20 KW, in media 6 KW) nelle regioni del Nord Italia, pari a circa la metà della nuova potenza disponibile, anche per effetto del Superbonus 110%. La cui fine è destinata a causare ulteriore incertezza, perché mancano quasi completamente all’appello i grandi impianti (sono appena 6 quelli con taglia superiore ai 10 MW, l’11% della potenza totale), senza i quali non è possibile immaginare di scalare l’installato.

Per quanto riguarda invece l’eolico, a fine 2022 la capacità installata si avvicinava a 12 GW complessivi, con appena 0,5 GW (+31% sul 2021) di nuove installazioni suddivise tra 208 impianti (in media 2,5 MW ciascuno) realizzati prevalentemente in Sicilia e Puglia e quasi esclusivamente onshore.

Perchè si dovrebbe puntare sulle rinnovabili

Eppure, le ragioni economiche, sociali e ambientali per puntare sulle rinnovabili ci sono eccome: il raggiungimento dei target 2030 comporterebbe investimenti per le nuove installazioni tra i 43 e i 68 miliardi di euro (dipende se si considerano gli obiettivi “minimi” del PTE, il Piano per la Transizione Energetica, pari a 63 GW di nuove installazioni, oppure quelli più ambiziosi di Elettricità Futura, in linea con il REPowerEU definito dalla Commissione Europea, pari a 82 GW), suddivisi tra 34-42 miliardi per il fotovoltaico e 14-21 per l’eolico, e genererebbe tra i 310.000 e i 410.000 nuovi posti di lavoro. Senza contare una riduzione delle emissioni di CO2 annuali da produzione di energia compresa tra 39 e 51 MtCO2 a partire dal 2030, superiore agli obiettivi di 30 MtCO2 attualmente imposti dal Fit for 55.

“Il tempo che rimane da qui al 2030 è poco – sentenzia Davide Chiaroni, vicedirettore di Energy&Strategy – e senza un’accelerazione ci troveremo con una copertura del fabbisogno elettrico da rinnovabili di solo il 34%, contro il 65% richiesto dal Fit-for-55 e i target ancora più alti di REPowerEU, che arrivano all’84% sulla generazione elettrica nazionale. Quello che manca sono soprattutto i grandi impianti, con un coefficiente di saturazione per le aste che negli ultimi 4 bandi non ha mai superato il 30%. A causa di questo ritardo non è stato possibile sfruttare l’effetto calmierante delle rinnovabili sul prezzo dell’elettricità: nel 2022 sono riuscite a ‘spiazzare’ le fonti fossili nel determinare il prezzo di riferimento orario ma solo per l’1,7% delle ore, 63 €/MWh contro 142 €/MWh. E senza contare i picchi dovuti alla guerra in Ucraina. In più, ciò si è verificato quasi esclusivamente al Sud, mentre al Nord e al Centro Nord sono rimasti prezzi orari in media più alti del 20%”.

L’incertezza normativa

Un altro problema continua ad essere rappresentato dall’incertezza normativa, che non accenna a migliorare: secondo l’E &S l’inefficienza delle aste FER e le lungaggini degli iter autorizzativi sono tra i principali ostacoli alle installazioni da rinnovabili nel Paese. Il mese scorso gran parte dei provvedimenti nazionali attesi per il 2022, tra cui decreti attuativi di recepimento della REDII e il Decreto FER II, non erano ancora stati promulgati, così come risultano in attesa di autorizzazione circa la metà dei progetti fotovoltaici ed eolici onshore presentati nel 2019 e il 60-65% di quelli presentati nel 2020. Secondo il report i PPA  (Power Purchase Agreement) potrebbero rappresentare uno strumento di mercato a supporto della diffusione delle rinnovabili.

Esistono tuttavia delle barriere alla diffusione dei PPA in Italia, come ha evidenziato una survey condotta tra gli operatori del mercato: in particolare, la distanza tra offtaker e produttori nel determinare le condizioni chiave dei contratti, soprattutto su volumi e durata; l’estrema volatilità dei mercati wholesale, unita alla bassa volatilità dei mercati a termine, che non aiuta nella determinazione di un prezzo di lungo periodo (unica condizione contrattuale su cui ci sia comunanza di visione tra offtaker e venditori) e il complesso iter autorizzativo, che impatta sulla data di inizio della produzione di energia e dunque sulle condizioni per fissare il prezzo.

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